sabato 12 ottobre 2013
Lampedusa e la perduta umanità
Ormai con una certa frequenza, e una certa fatica, faccio le valigie e mi sposto. Giro mezzo mondo, con me e il mio compagno vengono i nostri figli, le loro valigie e la loro gioia di vivere. Lo facciamo per garantire loro il miglior futuro possibile, con i mezzi e i modi che abbiamo. Molte volte, in diverse parti del mondo, ho riflettuto su quanto sarebbe stato fatalmente possibile nascere in un posto diverso, magari in un contesto meno facile. E non vi è alcun merito per cui siamo nati lì e in quel momento, è puro caso. Riguardo alla mia famiglia, so per certo che in qualunque situazione avremmo fatto la stessa scelta, quella di fare il possibile per i nostri figli, con i mezzi e i modi che avevamo. Forse, anche se questo avesse significato salire su una carretta libica alla volta dell'Italia. Che sia a pochi metri da Lampedusa, che sia sotto le bombe, che sia per una malattia, ci sono abissi di dolore che solo un genitore può toccare nell'istante in cui non può fare nulla per salvare il proprio figlio, che vale mille volte la sua stessa vita. Un'impotenza che noi, più fortunati nelle nostre piccole miserie quotidiane, possiamo solo intuire con terrore. Lo strazio di questi giorni non basta. Non bastano le parole, gli insulti, le raccolte firme. Non bastano la nostra indignazione, la nostra indifferenza, la nostra abitudine al dolore altrui. In questi giorni ho letto commenti per me agghiaccianti. Personalmente, ho faticato anche a scrivere queste righe perché so quanto possano risultare banali. Però sono stanca di tacere. 15 anni fa ho manifestato per la prima volta contro un Cpt. Ho smesso quando ho capito quanto fosse inutile. Ho sbagliato, come ho sbagliato quando mi sono indignata da lontano per la bossi-fini, o per il pacchetto sicurezza di Maroni. Quando ho pensato che, in una certa misura, non mi riguardasse. Leggete questo articolo (http://archiviostorico.corriere.it/2013/ottobre/10/Quelle_mamme_che_stringono_figli_co_0_20131010_d7ad1266-316e-11e3-aa16-37ca840ac4a8.shtml), pensate a quanto poco sarebbe bastato perché ci foste voi, al loro posto. Ditemi poi se questa umanità perduta non ci riguarda. O se piuttosto, l'umanità perduta non siamo noi.
Etichette:
lampedusa,
madri,
migrazioni
venerdì 10 maggio 2013
DONNE CHE CORRONO
A tornare in me, c'ho messo un po' di tempo. Capiamoci, non è che tu sia posseduta da un demone dopo aver partorito, ma a molto di te viene messo in stand-by. E se non sei tu a riesumare la vecchia te, non lo farà nessuno, stanne certa. Solo tu puoi trovare gli spazi giusti in cui muoverti, dato che ti hanno appena sparata dall'altra parte della barricata.
Almeno nei primi tempi devi rimodulare le tue abitudini, le tue aspettative. Dall'ora della sveglia il mattino alle prospettive di carriera, tutto cambia. "Dove cacchio ho messo il ciuccio" sostituisce il "dove cacchio ho messo le chiavi della macchina", a ricordarti che c'è sempre qualcosa che viene risucchiato nella dimensione parallela della tua borsa. Tacchi addio (poco male per chi, come me, non ha mai imparato a usarli davvero, si chiama "orac'hounascusabuona"), benvenuti incubi vari ed eventuali (pappe, cambi, vasino, uuhhh). Se vuoi leggere, non hai il tempo di aprire il libro che già dormi o già piange qualcuno, puntuale come un orologio svizzero (non mi avrete mai analfabeta, mocciosetti traditori!). La maternità può sembrare una schiavitù, ma superati i primi ostacoli che inevitabilmente toccano, non lo è. Non sto qui a fare l'esegesi delle gioie della maternità (mai stata molto poetica): a volte i figli sono una fatica, non una favola. Daresti davvero un braccio, una costola, l'intera vita per loro, però ci sono momenti in cui l'unica cosa che inconsciamente fischietti è leave-me-alooooneeeee, poche palle.
In ogni caso esistono mille modi per sentirsi se stessa a prescindere dai lavori in corso. Io ero dispersa in Ecuador, sola con il mio compagno e due gemelli. Pensavo di annaspare rischiosamente, e invece ho trovato una bella, bellissima dimensione per parlare un po' con me. Sono andata a correre. Naturalmente non sono ancora alla schizofrenia quindi non parlo sul serio, ma il mio corpo e il mio cervello dialogano. A volte rimembro i tempi andati, penso cose che altrimenti non avrei neanche il tempo di sospettare. Se si potesse anche leggere correndo, sarei a cavallo.
Correre allena il fisico, ma soprattutto tempra la resistenza psicologica, utilissima alle madri. C'è sempre nella corsa (così come nella vita) il momento in cui stai per mollare, in cui non ce la fai più e ti sembra di lasciarci la pelle (a me, per esempio, succede sempre dopo il terzo chilometro). Nella corsa impari che se resisti alla voglia di fermarti, le condizioni miglioreranno. Le endorfine fanno il loro lavoro, basta superare la fase critica. Ora, quando sono giù, stanca o nervosa, infilo le scarpe da corsa e vado a farmi un giro. Con la musica, che senza non corro bene, e con le scarpe giuste, che senza ti spacchi i piedi. Non serve altro, se non un po' di energia. La voglia in genere non c'è mai fino a quando corri. Prepararsi, uscire di casa, percorrere la strada fino a dove inizi a correre non sono MAI momenti da film: fino all'ultimo secondo mi continuo a chiedere "che faccio, vado a correre o no???". Correre costa fatica, specie quando le giornate non sono proprio una passeggiata! Su facebook ho trovato un gruppo di altre mamme che si allenano come me, con cui si può condividere una chiacchiera o il mitico motto "sei comunque più veloce di uno sul divano" (https://www.facebook.com/groups/runningformommies/). Se fai le tue prime gare, loro tifano per te. Se non ti alleni per troppo tempo, ti spronano a farlo. Una comunanza di intenti crea una solidarietà schietta e sincera, seppur virtuale. Non so come si vestano, quanti anni abbiano, cosa votino, e neanche mi importa. Le altre mamme runners sanno di me ciò che importa nell'istante in cui allaccio le scarpe da corsa: che non si molla. Che la fatica si può superare, la tristezza domare, la stanchezza battere, e anche lo sport te lo ricorda ogni volta anche se non sei ancora una maratoneta. Essere madri è un mestiere di una difficoltà snervante, e servono risorse per viverlo serenamente. Una volta, a Quito, aspettavo con i gemelli il loro papà, che partecipava ad una corsa. Danielle, una mamma del quartiere, si è avvicinata con passeggino e mi ha detto: "Anche io aspetto mio marito... Che catteveria, vero? Loro vanno a correre, e noi a casa con i figli...". Cara Danielle, non te l'ho detto ma ti dedico un pensiero ogni volta che corro. Lascia i figli al marito o a chi vuoi, prendi la porta ed esci.
Almeno nei primi tempi devi rimodulare le tue abitudini, le tue aspettative. Dall'ora della sveglia il mattino alle prospettive di carriera, tutto cambia. "Dove cacchio ho messo il ciuccio" sostituisce il "dove cacchio ho messo le chiavi della macchina", a ricordarti che c'è sempre qualcosa che viene risucchiato nella dimensione parallela della tua borsa. Tacchi addio (poco male per chi, come me, non ha mai imparato a usarli davvero, si chiama "orac'hounascusabuona"), benvenuti incubi vari ed eventuali (pappe, cambi, vasino, uuhhh). Se vuoi leggere, non hai il tempo di aprire il libro che già dormi o già piange qualcuno, puntuale come un orologio svizzero (non mi avrete mai analfabeta, mocciosetti traditori!). La maternità può sembrare una schiavitù, ma superati i primi ostacoli che inevitabilmente toccano, non lo è. Non sto qui a fare l'esegesi delle gioie della maternità (mai stata molto poetica): a volte i figli sono una fatica, non una favola. Daresti davvero un braccio, una costola, l'intera vita per loro, però ci sono momenti in cui l'unica cosa che inconsciamente fischietti è leave-me-alooooneeeee, poche palle.
In ogni caso esistono mille modi per sentirsi se stessa a prescindere dai lavori in corso. Io ero dispersa in Ecuador, sola con il mio compagno e due gemelli. Pensavo di annaspare rischiosamente, e invece ho trovato una bella, bellissima dimensione per parlare un po' con me. Sono andata a correre. Naturalmente non sono ancora alla schizofrenia quindi non parlo sul serio, ma il mio corpo e il mio cervello dialogano. A volte rimembro i tempi andati, penso cose che altrimenti non avrei neanche il tempo di sospettare. Se si potesse anche leggere correndo, sarei a cavallo.
Correre allena il fisico, ma soprattutto tempra la resistenza psicologica, utilissima alle madri. C'è sempre nella corsa (così come nella vita) il momento in cui stai per mollare, in cui non ce la fai più e ti sembra di lasciarci la pelle (a me, per esempio, succede sempre dopo il terzo chilometro). Nella corsa impari che se resisti alla voglia di fermarti, le condizioni miglioreranno. Le endorfine fanno il loro lavoro, basta superare la fase critica. Ora, quando sono giù, stanca o nervosa, infilo le scarpe da corsa e vado a farmi un giro. Con la musica, che senza non corro bene, e con le scarpe giuste, che senza ti spacchi i piedi. Non serve altro, se non un po' di energia. La voglia in genere non c'è mai fino a quando corri. Prepararsi, uscire di casa, percorrere la strada fino a dove inizi a correre non sono MAI momenti da film: fino all'ultimo secondo mi continuo a chiedere "che faccio, vado a correre o no???". Correre costa fatica, specie quando le giornate non sono proprio una passeggiata! Su facebook ho trovato un gruppo di altre mamme che si allenano come me, con cui si può condividere una chiacchiera o il mitico motto "sei comunque più veloce di uno sul divano" (https://www.facebook.com/groups/runningformommies/). Se fai le tue prime gare, loro tifano per te. Se non ti alleni per troppo tempo, ti spronano a farlo. Una comunanza di intenti crea una solidarietà schietta e sincera, seppur virtuale. Non so come si vestano, quanti anni abbiano, cosa votino, e neanche mi importa. Le altre mamme runners sanno di me ciò che importa nell'istante in cui allaccio le scarpe da corsa: che non si molla. Che la fatica si può superare, la tristezza domare, la stanchezza battere, e anche lo sport te lo ricorda ogni volta anche se non sei ancora una maratoneta. Essere madri è un mestiere di una difficoltà snervante, e servono risorse per viverlo serenamente. Una volta, a Quito, aspettavo con i gemelli il loro papà, che partecipava ad una corsa. Danielle, una mamma del quartiere, si è avvicinata con passeggino e mi ha detto: "Anche io aspetto mio marito... Che catteveria, vero? Loro vanno a correre, e noi a casa con i figli...". Cara Danielle, non te l'ho detto ma ti dedico un pensiero ogni volta che corro. Lascia i figli al marito o a chi vuoi, prendi la porta ed esci.
lunedì 29 aprile 2013
GRAN SPOLVERO PRIMAVERILE
Vabbeh, si può tornare in gran spolvero al proprio blog dopo una piccola assenza di quasi due anni? Diciamo che ho avuto un po' da fare... Ehm. Siamo finiti a vivere in Ecuador, 10mila chilometri più in là. Ci siamo un po' persi, poi ritrovati, poi finalmente siamo ritornati, con non poca fatica e 22 ore di viaggio, dritti dritti fra le braccia di mamma Italia, le sue mozzarelle e l'estate in arrivo!
So che non posso liquidarla così, ma mi riservo di scriverne con calma in post a venire.
Ora i gemelli hanno due anni, compiuti da poco. Sono vispi, turbolenti, voraci di vita. Io sono stanca, perennemente in coma, ma tutto sommato felice. Ora mi metto d'impegno e ripartiamo con il blog, lo prometto. E fra l'altro avevo anche promesso di continuare a correre una volta tornata in Italia, e invece sono qui da un mese e ho appeso le scarpe da corsa al chiodo. Molto bene. Datemi un paio di giorni e mi rimetto in senso. Poco poco, piano piano. Come un bradipo. Altro che corsa.
So che non posso liquidarla così, ma mi riservo di scriverne con calma in post a venire.
Ora i gemelli hanno due anni, compiuti da poco. Sono vispi, turbolenti, voraci di vita. Io sono stanca, perennemente in coma, ma tutto sommato felice. Ora mi metto d'impegno e ripartiamo con il blog, lo prometto. E fra l'altro avevo anche promesso di continuare a correre una volta tornata in Italia, e invece sono qui da un mese e ho appeso le scarpe da corsa al chiodo. Molto bene. Datemi un paio di giorni e mi rimetto in senso. Poco poco, piano piano. Come un bradipo. Altro che corsa.
giovedì 13 ottobre 2011
BABY BOOM & MORAL SUASION
Propongo quest'oggi un plauso collettivo al carissimo ministro del lavoro Sacconi.
Ma no, cos'avete capito, non per la poco felice uscita sulle suore violentate (quale miglior paragone per raccontare il raporto fra azienda e sindacato, se ve la siete persa andate assolutamente a vederla per capire il livello dell'uomo...). Invece, ringraziamolo oggi per averci illuminato sull'oscuro concetto di patto di demansionamento, tutto dedicato a quelle pazzerelle che tornano a lavorare invece di stare a fare la calza dopo aver partorito (Interpello datato 21/09/2011, n. 39).
Ma no, cos'avete capito, non per la poco felice uscita sulle suore violentate (quale miglior paragone per raccontare il raporto fra azienda e sindacato, se ve la siete persa andate assolutamente a vederla per capire il livello dell'uomo...). Invece, ringraziamolo oggi per averci illuminato sull'oscuro concetto di patto di demansionamento, tutto dedicato a quelle pazzerelle che tornano a lavorare invece di stare a fare la calza dopo aver partorito (Interpello datato 21/09/2011, n. 39).
Fatto sta che l'ordine dei consulenti del lavoro, qualche giorno fa, chiede ufficiale chiarimento sul rientro al posto di lavoro dalla maternità, e scopriamo finalmente che il famoso demansionamento altro non è che un ridimensionamento - parliamo facile, oggi - che ti spedisce dritta dritta al gradino inferiore a quello che probabilmente hai raggiunto dopo anni e anni di sgomitate sul lavoro. Sgomitate ormai inutili con i colleghi maschi, che dal gradino che prima era tuo ti fanno ora la linguaccia. Maledetti.
Attenzione, però, rassicura il ministro: il demansionamento è previsto solo qualora "il contesto aziendale sia tale che, per fondate e comprovabili esigenze tecniche, organizzative e produttive o di riduzione di costi, non sussistano alternative diverse per garantire la conservazione del posto di lavoro e per consentire aliunde l’esercizio delle mansioni". Uau.
Insomma, riassumiamo...già ti sei cuccata gravidanza, parto, allattamento e affini. magari esci indenne dalle statistiche che ti danno candidata ufficiale alla perdita del posto, un colera che colpisce una donna su sette (http://tinyurl.com/3q2flxk). a quel punto, dopo la tua personalissima terza guerra mondiale, arriva il bello. se per caso riesci a varcare nuovamente il sacro suolo del tuo ufficio puzzolente di inchiostro, cappuccino rancido e moquette, ancora prima di baciare la tua scrivania e gridare alla tua ritrovata carriera ti trovi a far fotocopie per i tuoi ex sottoposti!
Comunque non c'è da agitarsi: Sacconi ha precisato che il demansionamento non va necessariamente pari passo con una minor retribuzione. Almeno non fino a quando passa il periodo "divieto di licenziamento" (per ora, dannate femministe, per ora).
Insomma, per essere rispedita a giocare a mamma-casetta o per essere pagata meno ("del resto, per 4 fotocopie al giorno....è già tanto che la teniamo") c'è sempre tempo. Per i sensi di colpa da abbandono della prole e il "chi me l'ha fatto fare", pure. sembra che a lavorare di nuovo proprio non ti ci vogliano. più che demansionamento, sembra un patto di dissuasione.
Comunque non c'è da agitarsi: Sacconi ha precisato che il demansionamento non va necessariamente pari passo con una minor retribuzione. Almeno non fino a quando passa il periodo "divieto di licenziamento" (per ora, dannate femministe, per ora).
Insomma, per essere rispedita a giocare a mamma-casetta o per essere pagata meno ("del resto, per 4 fotocopie al giorno....è già tanto che la teniamo") c'è sempre tempo. Per i sensi di colpa da abbandono della prole e il "chi me l'ha fatto fare", pure. sembra che a lavorare di nuovo proprio non ti ci vogliano. più che demansionamento, sembra un patto di dissuasione.
Tutte a far marmellate in casa disperse in un'imprecisata campagna, come Diane Keaton in Baby Boom (1987).
sabato 8 ottobre 2011
FRAMMENTI DI UN ABBAGLIO AMOROSO
Ogni scarrafon'è bbbello a mammà soja, dicono a napoli. d'accordo, haha, divertente. invece no!!! è pure vero!!! ieri ho rivisto le foto di E&M appena nati. non dico che fossero bruttarelli... ma santo cielo.... insomma... che dire..... non è che fossero proprio sti due adoni.... complice la prematurità, certo... solo che erano proprio due rospetti, ecco l'ho detto. mi sembravano già scarrafonaggemente bellissimi, e invece non proprio. allora mi chiedo... ma se diventando madri si resta folgorate, accecate, turbate d'amore per i proprio figli, perchè questo non accade anche per il resto del mondo? non esiste un modo per riprodurla su scala mondiale? scienziati, a noi! fate schizzare i neutrini di qua e di là, intervenite pure sugli ormoni dell'illusione amorosa, no?? esempio: a tutti (soprattutto alle donne..), purtroppo, almeno una volta nella vita capita di innamorarsi di uno che poi si rivela uno schifo d'uomo, e ti dici "ma come ho fatto a cascarci con quel bidone proprio io, impossibile!". ecco, neanche quando ti innamori di un inutile del genere sei così abbagliata. non potresti mai più immaginare la tua vita senza un esserino che fino a poco prima neppure c'era. e mentre pian piano ti lasci conquistare, pure parenti e amici collaborano all'abbaglio del secolo. i primi giorni dopo il parto, quando sei lì distrutta a rantolare nel tuo lettino d'ospedale, tutti sentono il dovere di dirti "ma son bellisssssimiiiiii" e tu ti chiedi "dirà sul serio? mah! perchè zia giuliana dice sta frase e contemporaneamente volta lo sguardo e parla con voce tremante?sarà una palla?!?" alla fine - benedetto sempre l'autoconvincimento - pensi che nel tuo caso è verissimo, i tuoi figli sono belli, i più belli del nido! magari invece no, anzi. ce ne son certi che - diciamolo una buona volta - son proprio degli sgorbietti appena atterrati da marte! donna incinta che stoltamente continui a leggere il mio blog, sappi che tuo figlio quando nascerà forse sarà una cozza. ma lasciati pure abbagliare dall'istinto materno, e se ci riesci, prova a dedicare lo stesso sguardo anche a qualcun altro. tutto sembrerà un po' più decente. che dico... più bello.
lettura consigliatissima: R. Barthes, "Frammenti di un discorso amoroso", Einaudi ed. |
Iscriviti a:
Post (Atom)
Powered by Blogger.